628 research outputs found

    FIRM’S FINANCING AND INDUSTRIAL STRUCTURE IN THE LESS DEVELOPED REGIONS OF THE SOUTH ITALY

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    The paper shows that there is a relationship between firm’s financial condition and the industrial specialization model of the Italian Mezzogiorno, that is the least developed area of the country. In order to analyze the financial status of the firms, the approach of the theory of the finance is adopted. The empirical model proposed by the Gibrat law literature is used to produce the estimates of the relationship between firms’ growth and cash flow. Then, the indices measuring the “financial dependence†on the internal finance or the “financial constraints†to the firm growth of the Mezzogiorno’s industries are compared to those of the other Italian regions. Finally, the analysis of the between the emerging financial condition of the firms and both the firm side distribution of the individual industries and the composition of the manufacturing of the South Italy is proposed. Our econometric analyses, carried out on a representative sample of manufacturing firms, confirm that there is a robust relationship between financial status of the firms and the specialisation model of manufacturing of the Italian Mezzogiorno.financial constraints, internal finance, growth-cash flow relationship

    Internationalisation modes and determinants. The case of Italian automotive firms

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    The aim of this paper is to study the characteristics of the internationalisation process and to identify its determinants in a representative sample of firms in the Italian automotive chain. The main findings of an econometric analysis based on micro-evidence are that: a) the firms engage in complex modes of internationalisation; b) the individual firm's characteristics play a significant role; c) the firms located in the province of Turin have a clear localisation advantage, a sort of an 'industrial district' effect.Internationalisation, Firm Behaviour, Automotive Industry, Qualitative Choice Models

    The competitive repositioning of automotive firms in Turin: innovation, internationalisation and the role of ICT

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    Following the increasing competitive pressure and the emergence of new industrial poles within the auto industry, Italian firms have been the protagonists of an intense reorganisation, which is still ongoing. This case-study involves 13 supplier firms, operating in the automotive industry, localised in Turin, that have adopted a series of strategies aimed at improving their international competitiveness. The empirical findings show that there is a particularly strong innovative drive for the interviewed firms to position themselves in activities with greater added value and to undertake internationalisation strategies, from the 'lighter' to the more 'complex' forms, coupled with a use of information and communication technologies epresents a case of excellence.Innovation, Internationalisation, ICT, Automotive Industry

    L'impresa subfornitrice:redditività,produttività e divari territoriali

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    Il lavoro ha per oggetto l’evoluzione del modello di divisione del lavoro fra le imprese nell’industria italiana negli anni ’90. Utilizziamo i dati della “Indagine sulle imprese manifatturiere” condotta periodicamente da Capitalia, che fanno riferimento rispettivamente ai trienni 1994-97 e 1998- 2000. L’analisi econometrica mostra che nel periodo analizzato le imprese subfornitrici hanno beneficiato di migliori performance, in termini di maggiore produttività dei fattori, più alti salari e più elevato rendimento per il capitale investito. Tuttavia, nel processo di crescente ricorso al mercato, il dualismo della struttura industriale italiana si è fortemente riproposto.Divisione del lavoro; Subfornitura; Mezzogiorno d’Italia

    Spatial agglomeration, global value chains, and productivity: micro-evidence from Italy and Spain

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    We investigate the relationship between spatial agglomeration and firms’ labor productivity in Italy and Spain, examining firm-level heterogeneity in Global Value Chain positioning. We analyze a sample of 4, 025 manufacturing firms during the period from 2010 to 2014 and employ a shift-share instrumental variable approach. We find that agglomeration has a positive effect on labor productivity for suppliers but not for final firms

    Divisione del lavoro, crescita e divari di performance nell'industria italiana degli anni '90

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    Questo lavoro si inserisce all’interno di un percorso di ricerca (Giunta e Scalera, 2006, 2007) teso a studiare la natura della subfornitura dell’industria manifatturiera italiana, un ambito di ricerca in cui non sono frequenti analisi su campioni rappresentativi di imprese, quanto piuttosto indagini basate su casestudy. Il nostro punto di osservazione si colloca nella seconda metà degli anni ’90, epoca alla quale si fa comunemente risalire l’inizio della prolungata fase di criticità dell’industria italiana, a seguito della sequenza di shock, endogeni ed esogeni, che mutano strutturalmente il contesto di operatività delle imprese. Nell’arco temporale considerato, in Italia come in molti altri paesi, si è accentuato un processo di profondo mutamento, sia quantitativo che qualitativo, nel modello di divisione del lavoro fra le imprese, che trova espressione nella frammentazione internazionale della produzione con la conseguente globalizzazione del mercato dei beni intermedi. Per l’Italia questo ha comportato l’infittimento delle relazioni verticali interaziendali e una significativa emancipazione del subfornitore rispetto al ruolo tradizionale di captive supplier, confinato ad espletare funzioni di mera trasformazione in un contesto prevalentemente monopsonistico, popolato da faceless transactions. In questo periodo infatti, l’impresa subfornitrice si è andata progressivamente evolvendo come un agente in grado di instaurare relazioni di complementarità con l’impresa committente e di partecipare a network produttivi di carattere transnazionale. In tal senso, una prima indicazione del processo di upgrading viene fornita da Giunta e Scalera (2006, 2007): secondo questa interpretazione, nella seconda metà degli anni ’90, le imprese subfornitrici hanno nel complesso beneficiato di migliori performance, in termini di maggiore produttività e remunerazione dei fattori, più alti salari e più elevato rendimento per il capitale investito. Un dato di particolare significatività è che, nel mutato contesto della divisione internazionale del lavoro, il dualismo Nord-Sud della struttura industriale italiana si è riproposto con nettezza. Nella seconda metà degli anni ’90, a differenza del passato, il Mezzogiorno ha in effetti vissuto una fase di intenso approfondimento delle relazioni tra le imprese, quantitativamente paragonabile a quella del resto del paese. Tuttavia le imprese subfornitrici meridionali hanno realizzato performance di produttività e redditività spesso più modeste delle altre imprese, segnalando con ciò l’esistenza di condizioni di relativa marginalità ed arretratezza e sostanziale subalternità rispetto ai committenti, sia locali che nazionali ed esteri. In questo lavoro intendiamo aggiungere un altro tassello all’impianto conoscitivo, andando ad indagare la relazione tra divisione del lavoro e crescita delle imprese nella seconda metà degli anni ’90. Come sostenuto da più parti, il ristagno dell’economia italiana si configura come un problema di crescita rispetto al quale assumono particolare rilevanza le caratteristiche strutturali dell’industria italiana, che si distingue per la persistenza di una elevata polverizzazione della produzione industriale. Dalla “questione dimensionale” (Traù, 1999) nella sua generalità, intendiamo soffermarci in questo lavoro sull’analisi della dinamica di crescita di quel sottoinsieme di imprese il cui successo deriva per larga parte dalla divisione del lavoro e dagli scambi con le altre imprese. Nel seguito, per semplicità, ci riferiremo a questo sottoinsieme usando la categoria di “imprese subfornitrici”, anche se il termine, largamente diffuso negli anni ’70, appare oggi riduttivo rispetto alla complessità dei compiti svolti da questa categoria di agenti. Nella nuova fase dello sviluppo industriale, le imprese che partecipano alla catena del valore si fanno carico di produzioni complesse (si pensi alla pratica della supply system policy), trasferite all’esterno in seguito a scelte di focalizzazione dell’impresa committente su attività diverse da quelle ad alto contenuto di manifattura. Queste imprese spesso sono in possesso di un’elevata capacità relazionale visto che, con l’eccezione della figura dell’assemblatore finale, adempiono con sistematicità al doppio ruolo di subcontractor in and out, nell’esternalizzare a loro volta le attività meno remunerative alla propria catena di subfornitori. Anche in questo ambito si impone l’imperativo della crescita, data la riorganizzazione in corso della divisione del lavoro tra le imprese. Quest’ultima richiede alle imprese subfornitrici italiane di innalzare la propria dimensione di operatività per fronteggiare la crescente concorrenza proveniente dai paesi produttori a più basso costo; ottemperare alle complesse richieste della committenza; sviluppare capacità relazionali lungo la rete transnazionale di appartenenza, modificare il proprio posizionamento. Più specificamente, gli obiettivi di questo lavoro sono i seguenti: a) comprendere se e come, nella seconda metà degli anni ’90, l’attività di subfornitura1 abbia inciso sulla dinamica di crescita delle imprese manifatturiere italiane; b) verificare se, in coerenza con le interpretazioni recentemente avanzate dal filone teorico della Global Commodity Chain, di cui si dirà nel seguito, l’eventuale maggiore crescita delle imprese subforrnitrici sia almeno in parte da attribuire alla capacità di queste ultime di innovare, per conseguire un upgrading nella catena del valore; c) esaminare l’influenza congiunta di subfornitura e localizzazione, verificando, in particolare, se le imprese subfornitrici meridionali abbiano mostrato dinamiche di crescita significativamente differenti rispetto ad omologhe unità localizzate nel Centro-Nord. Per larga parte, il nostro lavoro si colloca all’interno della letteratura teorica ed empirica ispirata alla legge di Gibrat (1931) della crescita proporzionata (Mansfield, 1962). La novità che vorremmo apportare ad un filone già molto “arato” e popolato da infinite varianti di esercizi di stima riguarda l’attenzione rivolta alla capacità esplicativa della scelta di lavorare in subfornitura e al suo impatto sulle dinamiche di crescita. Sorprendentemente, la relazione tra divisione del lavoro, approssimata dall’incidenza delle lavorazioni effettuate in subfornitura, e crescita non risulta essere stata oggetto di particolare attenzione empirica negli esercizi econometrici che hanno indagato le dinamiche di crescita delle imprese italiane. È interessante al proposito notare, come fa Yasuda (2005), che la stessa carenza di indagine empirica sul nesso tra subfornitura e crescita si rileva anche per il Giappone, che, insieme all’Italia, ha fondato larga parte del proprio vantaggio competitivo sulla divisione del lavoro tra imprese territorialmente radicate, organizzate in Italia in distretti industriali, e, in Giappone, in catene gerarchiche egemonizzate dalle grandi imprese. La verifica empirica del ruolo svolto dalla condizione di subfornitore nelle dinamiche di crescita (sia essa nella forma di espansione del fatturato o di aumento dell’occupazione) è dunque oggetto primario del nostro contributo. Abbiamo tuttavia ben chiaro che la significatività di quel nesso è frutto di processi evolutivi profondamente differenziati, sulla cui natura, stante i dati a nostra disposizione, possiamo formulare solo alcune congetture. Più esplicitamente, data l’eterogeneità delle imprese, la dinamica di crescita, oltre a dipendere da caratteristiche strutturali e organizzative, rilevabili dal database di fonte Capitalia che utilizziamo, è strettamente correlata al tipo di filiera in cui si opera e soprattutto al comportamento dell’impresa e al posizionamento che essa acquisisce nel corso del tempo, come emerge dal fruttuoso filone di analisi della Global Commodity Chain (da ora in poi GCC, Gereffi, 1994, 1999; Kaplinsky, 2000; Henderson et al., 2002). Il lavoro è organizzato come segue. Dopo questa introduzione, nel paragrafo 2 proponiamo una disamina delle caratteristiche di maggiore rilievo della corrente divisione del lavoro tra le imprese, mentre nel paragrafo 3 richiamiamo in sintesi l’approccio della GCC. L’analisi empirica costituisce l’oggetto del paragrafo 4 che è, a sua volta, suddiviso in tre sottoparagrafi: nel primo si presentano i dati utilizzati ed alcune statistiche descrittive; nel secondo si dà conto delle metodologie utilizzate; nel terzo si illustrano i risultati ottenuti. Va sottolineato che tra le variabili esplicative della crescita delle imprese si considerano insieme o alternativamente: a) variabili “canoniche” come l’età, la dimensione e la passata dinamica di crescita; b) variabili organizzative tra cui, primariamente, l’incidenza della subfornitura sul fatturato, l’innovazione di prodotto e l’investimento in ICT; c) la variabile strutturale “localizzazione”, per l’interesse che riveste nel nostro lavoro la presenza di eventuali differenziali di crescita tra imprese del Centro- Nord e del Mezzogiorno. Il paragrafo 5 raccoglie le principali conclusioni.

    Global value chains and energy-related sustainable practices. Evidence from Enterprise Survey data

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    Participation in global value chains (GVCs) can affect the deployment of clean energy technologies and influence firm-level energy management. However, the sign of this influence is debated, especially for less developed economies, since GVCs can favor the absorption of more advanced technologies and the adoption of greener energy practices, but on the other hand they can help export polluting productions from countries with strict environmental regulations to weakly regulated developing countries. Drawing on Enterprise Surveys conducted in 2018–2020 on a large cross-section of firms operating in different industries and countries, and applying regression analyses and propensity score matching, this is the first firm-level study aiming to shed light on the relationship between firm participation in GVCs and the adoption of energy-related sustainable practices. In addition, the analysis allows for a heterogeneous impact of GVCs, conditional on firms’ characteristics and external conditions, such as institutional quality. Overall, we find that participation in GVCs is positively asso- ciated with firm propensity to adopt green energy practices. For smaller and younger firms, operating in poorer institutional contexts, and/or less endowed in terms of human capital or financial resources, being engaged in GVCs has milder effects on the adoption of greener practices. By contrast, manufacturing companies located in high-income countries are those showing the strongest impact of GVCs on energy management

    Global Value Chains and the Great Recession: Evidence from Italian and German Firms

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    During the last two decades, profound changes in the international division of labour among firms have occurred, with impressive growth in outsourcing, off-shoring of some stages of production and the globalization of intermediates goods markets. This new model of the international division of labour has both initiated an increasing variety of relationships among producers and spurred the development of Global Value Chains. According to some recent research, Global Value Chains have been one of the main transmission mechanisms of the Great Trade Collapse that severely and simultaneously hit all OECD countries in 2009. Pervasive as it has been, it also appears that the impact of the crisis on firms involved in Global Value Chains has been highly heterogeneous. Our paper intends to contribute to this very recent and ongoing debate, providing a description of the effects of the crisis from a perspective that is both countrycomparative, Germany and Italy being the countries taken into consideration, and on firm level, as we pay particular attention to the positioning of the firms along Global Value Chains, i.e., whether intermediate or final firms- and to their strategies. Three are the main conclusions: i) intermediate firms were hit by the crisis more than final firms; ii) among intermediate firms, the ones that carried out innovation activities in the previous period (before 2008) were somewhat sheltered by the effect of crisis; iii) firms ’ positioning in GVCs and their strategies may help to explain the Italy-Germany performance gap

    Processes driving freshwater plant production and diversity in upland streams

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    Upland headwater streams are important sources of freshwater in mountainous temperate to sub-arctic latitude European countries like Scotland. Yet much less is known about the ecology of small, characteristically oligotrophic, mountain streams supporting periphyton and aquatic bryophyte dominated vegetation, and their potential bioindicator capacity of environmental water quality, than lowland rivers impacted by anthropogenic disturbance, in this context. This scarcity of knowledge has significant implications for the success of the recently implemented Water Framework Directive (WFD: 2000/60/EC). The WFD is a major piece of environmental legislation for water policy and sustainable water management in Europe. New contributions are fundamental to environment agencies, such as the Scottish Environment Protection Agency (SEPA), tasked with the responsibility of enforcing WFD statutory requirements and developing effective biomonitoring tools for assessing water quality status in Scotland. A major aim of the WFD is to achieve at least ‘good’ ecological status of inland waterbodies by 2015. Further, in doing so, to ascertain ecological benchmark communities of near-pristine (or minimally-impacted) reference conditions as indicators of high water quality status. The objective is to improve understanding of the environmental processes driving the production and diversity of freshwater plant species-assemblages in upland streams. Such information can be used for assessing perturbations threatening the ecological integrity of rivers impacted by anthropogenic disturbances (human pressure). This enables environment agencies such as SEPA, to respond appropriately by implementing corrective measures and sustainable management strategies. This project monitored a range of near-pristine headwater streams of contrasting underlying geology in the Scottish Highlands. The approach adopted was compatible with current WFD river characterisation and biomonitoring strategies. These were used to investigate the structural and functional response of freshwater plant communities (chiefly diatoms and other algal groups; aquatic bryophyte and vascular submerged macrophyte vegetation) to environmental drivers (e.g. flow, substrate morphology, nutrient inputs, water chemistry, underwater light availability). The work was carried out with the aim of contributing to future development of baseline monitoring tools for assessing upland stream habitat quality in Scotland.EThOS - Electronic Theses Online ServiceGBUnited Kingdo
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